giovedì 22 dicembre 2016

La casa di Gabriel Garcia Marquez





"Vengo a pedirte el favor de que me acompañes a vender la casa. No tuvo que decirme cuál, ni dónde, porque para nosotros sólo existía una en el mundo: la vieja casa de los abuelos en Aracataca, donde tuve la buena suerte de nacer y donde no volví a vivir después de los ocho años.."


"Vengo a chiederti il favore di accompagnarmi a vendere la casa. Non fu necessario che mi dicesse quale era la casa e dove stava, perché per noi ce ne era una sola al mondo: la vecchia casa dei nonni ad Aracataca, dove ebbi la fortuna di nascere e dove tornai a vivere dopo gli otto anni.."


                                              Gabriel García Márquez, "Vivir para contarla", 2002



Le prime pagine della sua autobiografia "Vivere per raccontarla", iniziano con l'evocazione del ricordo che García Márquez fa di quando accompagnò sua madre a vendere la casa dei nonni materni ad Aracataca, una cittadina di circa 38.000 anime nel nord della Colombia. Sua madre, che non lo vedeva da molto tempo, lo va a cercare a Barranquilla dove lui vive e gli chiede "il favore di accompagnarla a vendere la casa". Ma, come aggiunge subito Garcia Marquez, non fu necessario specificare di quale casa si trattasse perché "per noi ne esisteva una sola al mondo: la vecchia casa dei nonni ad Aracataca, dove ebbi la fortuna di nascere e dove non tornai a vivere che dopo aver compiuto otto anni."






E' in questa casa che ha preso forma, se è vero che i luoghi hanno il potere di influenzare il nostro mondo immaginario e le nostre emozioni, l'universo fantastico e magico del più famoso scrittore latinoamericano. E' lui stesso a ricordare nella sua autobiografia che: "più tardi, quando iniziai a leggere Faulkner, anche i paesi  dei suoi romanzi somigliavano ai nostri. E non era da sorprendersi, dato che erano stati costruiti sotto l'influenza messianica della United Fruit Company (...). Io li ricordavo tutti con la chiesa nella piazza, le casette prese da un racconto di fate e dipinte con colori sgargianti..."



                   


Aracataca è il paese dove lo scrittore era nato, il 6 marzo 1927. La casa della sua infanzia, conta quattordici stanze sulle cui pareti sono state riportate molte citazioni prese dai romanzi ed è stata convertita in una casa-museo. Va detto subito che la casa che oggi si visita non è quella originale ma una ricostruzione, in quanto quella dello scrittore colombiano fu demolita più di quaranta anni fa. Si è dunque proceduto a ricostruirla così com'era, sulla base di molte fonti e descrizioni e, tra queste, anche quelle che il premio Nobel per la letteratura fa nella sua autobiografia. E' stata aperta al pubblico a marzo 2010 e Garcia Marquez ha dichiarato più volte che Macondo, il villaggio inventato che fa da sfondo a Cent'anni di solitudine, è ispirato ad Aracataca.





Dopo aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura nel 1982, Garcia Marquez tornò ad Aracataca nel 2007, su invito del governo colombiano, come omaggio per gli ottant'anni dello scrittore e i quarant'anni trascorsi dalla pubblicazione di Cent'anni di solitudine, libro che ebbe da subito un successo enorme, consegnandogli fama e riconoscimento planetario, dato che vendette oltre mezzo milione di copie nei primi tre anni ed è stato tradotto in più di venti lingue. 



Riguardo al suo stile di scrittura, conosciuto come realismo magico, e sul quale sono stati versati fiumi di inchiostro, è interessante il parere di un grande del reportage giornalistico, Ryszard Kapuscinski, che dichiarò una volta che, sebbene ammirasse moltissimo i suoi romanzi, la sua grandezza era nei reportages giornalistici da cui provengono i romanzi; "Il suo grande merito è dimostrare che il grande reportage può essere grande letteratura". Quanto a lui, Garcia Marquez, ha dichiarato più volte che il suo stile e la sua vocazione letteraria provenivano dal modo in cui sua nonna gli raccontava le storie e da Kafka. Un articolo del Pais del 17 aprile 2014, scritto in occasione della morte dello scrittore colombiano, riporta che una volta un suo amico, Plinio Apuleyo Mendoza, gli chiese negli anni '70: "E' stata tua nonna a farti scoprire che saresti diventato scrittore?", Garcia Marquez rispose: "No, è stato Kafka che raccontava in tedesco le cose allo stesso modo in cui le raccontava mia nonna. Quando lessi a diciassette anni La metamorfosi, scoprii che sarei diventato scrittore. Pensare che Gregorio Samsa poteva svegliarsi una mattina e scoprire di essersi trasformato in un gigantesco scarafaggio, mi fece pensare: 'Io non sapevo che questo fosse possibile farlo. Ma, se è così, scrivere mi interessa".

Di lui, il grande poeta cileno premio Nobel, Pablo Neruda, disse una volta: "E' stato la più grande rivelazione per la lingua spagnola dai tempi del Don Quichotte".







sabato 5 novembre 2016

L'ultimo atelier di Gustav Klimt a Vienna






"...Non esiste un mio autoritratto. Non sono interessato nella mia persona come soggetto di un dipinto. (...) Sono convinto che come persona non sono particolarmente interessante. (...) Sono un pittore che dipinge giorno dopo giorno, dalla mattina alla sera, dei dipinti figurativi e dei paesaggi, più raramente dei ritratti. Chiunque voglia sapere qualcosa di me - come artista che è l'unica cosa degna di significato - deve guardare con attenzione i miei quadri e cercare lì di riconoscere chi sono e cosa voglio".

                                                                                                 Gustav Klimt

Quest'estate sono stata qualche giorno a Vienna e ho voluto andare a cercarmi l'atelier dove Klimt (1862 Vienna - 1918 Vienna) dipingeva, dato che alcuni amici mi avevano detto che era stato riaperto da non molto. Così ho preso la metropolitana e poi un tram per raggiungere un quartiere che ai tempi di Klimt era fuori città, e che adesso fa parte del tredicesimo distretto. Al numero 11 della Feldmuhlgasse, c'è una grande casa circondata da un giardino che Klimt amava curare personalmente e che era pieno di fiori quando ci viveva. La proprietà attuale è circa un terzo di quella originale, copre una superficie di 5.451 m2 ed è nota a tutti come la "villa di Klimt".



Qualche anno dopo la morte dell'artista, il suo studio fu ristrutturato e convertito nella grande villa neobarocca di oggi, con la terrazza al primo piano e le due rampe esterne di scale che portano al piano superiore: tutti elementi che non esistevano nell'atelier originale che era di dimensioni più ridotte. Quando ho visitato lo studio, delle sedie erano state messe nel giardino perché si festeggiava un matrimonio quel giorno, dato che la villa può essere affittata per eventi e feste.



Molti ospiti illustri visitarono Klimt nel suo studio, tra questi ci sono gli artisti Egon Schiele e Felix Albrecht Harta e lo scrittore austriaco Arthur Schnitzler che annotò nel suo diario: " Mi ha mostrato i suoi disegni, molti quadri - paesaggi, ritratti, fantasticherie - terminati e incompiuti. I paesaggi in particolare erano belli. Ci ha mostrato le stanze e il giardino; e sento, nonostante tutte le nostre differenze e la superiorità del suo genio artistico, una profonda affinità".

Lo studio della Feldmuhlgasse dove lavorò dal 1911 al 1918, anno della sua morte, era il posto adatto per lavorare durante l'ultima fase della sua vita. E' l'unico degli ateliers in cui ha lavorato che si è conservato fino a noi: qui portò a termine un gran numero di paesaggi che aveva iniziato a dipingere durante i suoi soggiorni estivi. Spesso ricorreva all'uso della fotografia per trovare i soggetti dei suoi quadri, oppure faceva un buco in un foglio e guardava attraverso di esso come se si fosse trattato di un mirino.

Poco dopo la morte di Klimt, e poco prima della sua stessa morte,  Egon Schiele disse: "non bisogna rimuovere nulla perché tutto quello che riguarda la casa di Klimt costituisce un tutto e un'opera d'arte che non va distrutta". Per fortuna il suo desiderio si è realizzato.


                                                  Gustav Klimt e Emilie Floge



LA VILLA DI KLIMT A VIENNA
Feldmuhlgasse 11, 1130 Vienna
Sito web: http://www.klimtvilla.at
Facebook: Klimt Villa in Vienna


venerdì 30 settembre 2016

GUIDA ALLE PIU BELLE CASE DI ARTISTI IN ITALIA









“La casa è il nostro angolo di mondo, è, come è stato spesso ripetuto, il nostro primo universo. Essa è davvero un cosmo, nella prima accezione del termine”
                                                                                                     Gaston Bachelard


Alcuni anni fa, in occasione di una visita a una mostra su Galileo Chini alla  Galleria di Arte Moderna (GNAM) di Roma, scoprii, una volta tornata a casa, che la sua casa di vacanze in Versilia, a Lido di Camaiore, era diventata un albergo che aveva conservato parte del mobilio originale e alcuni effetti personali dell’artista. La cosa mi sembrò estremamente interessante e decisi di cercare in internet cosa ne era stato di altre case di artisti, una realtà che fino a quel momento avevo ignorato. Mi resi conto che ne esistono oltre un centinaio in Italia. Quasi sempre aperte al pubblico, trasformate perlopiù in case-museo o fondazioni: rappresentano una realtà museale sconosciuta ai più. Anche da coloro che potrebbero essere tra i maggiori fruitori: ossia, tutti quelli che hanno amato le opere degli artisti in questione.

Quanti romani hanno visitato la casa di John Keats o quella di Giorgio De Chirico a piazza di Spagna? Quanti sono stati nella casa di Gabriele d’Annunzio a Gardone o nella dimora di Giacomo Leopardi a Recanati, per citarne solo un paio? Le case degli artisti rimangono una categoria sconosciuta e dimenticata dal pubblico e dalle stesse guide turistiche. Eppure la visita ad una di esse può rivelarsi un’autentica scoperta per gli amanti delle loro opere, sia che si tratti di letteratura, musica o pittura. Possono scoprirsi indizi e informazioni che non si conoscevano e che aiutano completare il quadro che abbiamo dell’artista che ammiriamo ed amiamo. Perché l’immagine della casa, come aveva detto Bachelard nel suo libro “La poetica dello spazio” può somigliare alla topografia del nostro essere più intimo. Inoltre, è un modo diverso e intelligente di fare turismo.


Sono 54 le case-museo sparse sul territorio italiano che ho descritto in questa guida, che non vuole essere esaustiva, ma che cerca di illustrare un patrimonio culturale che merita di essere conosciuto.

P.S: la "Guida alle più belle case di artisti in Italia" è in vendita a Roma nelle librerie del circuito Feltrinelli. Oppure online su: stampalternativa.it; libreriauniversitaria.it; internetbookshop.it; amazon.it




martedì 14 giugno 2016

La casa-museo di Emily Dickinson






"I dwell in Possibility -
 A fairer House than Prose -
 More numerous of Windows -
 Superior - for Doors -"

"Abito nel possibile -
 Una casa più bella della prosa,
 Con più grande ricchezza di finestre,
 Più alte porte -"

            Emily Dickinson, 1862


La casa-museo di Emily Dickinson (1830-1886) è al numero 290 di Main Street, ad Amherst (Massachusetts), una cittadina che, con le sue case basse e le file di alberi ben allineati sembra ferma nel tempo. E' nella camera da letto di questa villa, le cui grandi finestre affacciano sugli alberi del parco circostante, che la poetessa americana scrisse le sue 1800 poesie. I primi versi risalgono al 1850.  Se è vero che visitare la casa di un artista può aiutarci a farci un'idea della vita che conduceva e dei suoi gusti, questo è senz'altro più vero nel caso di Emily che, come è noto, trascorse la sua vita quasi reclusa tra le mura della sua casa. Usciva molto raramente e a volte parlava con i visitatori da dietro una porta.

Della sua vita non sappiamo molto: "L'abisso non ha biografi" scrisse in una lettera.

Era nata ad Amherst il 10 dicembre 1830 e  trascorse tutta la vita nella casa di famiglia, ora divenuta un museo, pubblicando, in vita, solo sette poesie in forma anonima. Dopo la sua morte (1886), la sorella Lavinia scoprì per caso, nella sua stanza, centinaia di poesie dentro una scatola, scritte su dei foglietti ripiegati in tanti pacchetti cuciti con ago e filo. Nessuno aveva mai sospettato la loro esistenza. Nel 1858 Emily aveva iniziato a legare le poesie in quel modo. Trentadue anni dopo, nel 1890, venne pubblicata la prima raccolta di poesie di Emily, alla quale sarebbero seguite negli anni un numero infinito di edizioni in tutte le lingue.






La casa-museo di Emily Dickinson è costituita da due dimore storiche che si trovano nel centro di Amherst: The Homestead è la casa natale, The Evergreens, attaccata, era quella dove abitava il fratello Austin con la moglie Susan e i loro tre figli. Nel 2003 è nato il museo dedicato alla poetessa dalla fusione delle due case divenute di proprietà dell'Amherst College.




La vita, nella comunità puritana di Amherst era austera e frugale, poche le distrazioni: la Bibbia era la lettura più diffusa. Emily non cercò mai più di tanto di pubblicare le sue liriche, preferendo condividerle con la famiglia e le amicizie. Verso la fine della sua esistenza, si ritirò progressivamente dalla società, dedicandosi al giardinaggio, alla famiglia e agli amici. Le sue poesie furono scoperte e apprezzate ovunque nel mondo, solo dopo la sua morte, avvenuta il 15 maggio 1886, all'età di cinquantasei anni. Fino ad allora si era accontentata di divulgare le sue liriche solo nella ristretta cerchia di pochi intimi.

Emily Dickinson è sepolta a West Cemetery, un cimitero nel centro di Amherst. La sua tomba è circondata da una recinzione in ferro: è seppellita insieme alla sorella, i genitori e i nonni paterni. Sulla lapide sono riportate le date della nascita e della morte e l'epitaffio "Called back", le sole parole dell'ultima lettera che scrisse ai cugini Fannie e Loo Norcross, nel 1886.







CASA-MUSEO DI EMILY DICKINSON
USA. Amherst (Massachusetts)
Main Street, 280
Amherst, MA 01002
Tel: 001 413 542 8161  
Sito web: http://www.emilydickinsonmuseum.org/
Email: info@EmilyDickinsonMuseum.org 
Facebook: The Emily Dickinson Museum







venerdì 11 dicembre 2015

Hans Christian Andersen a Roma






                                  "Roma ha aperto i miei occhi alla bellezza"

                                                                                                Hans Christian Andersen

Come tanti altri artisti stranieri prima e dopo di lui, anche Hans Christian Andersen (1805-1875) visse a Roma, in una casa al numero 104 di via Sistina, non lontano dalla casa dove risiedette Gogol. Una targa in marmo ci ricorda il suo soggiorno romano. Lo scrittore danese vi rimase un anno, dal 1833 al 1834, e durante quel periodo ebbe l'ispirazione per scrivere il suo primo romanzo "L'improvvisatore", pubblicato nel 1835, in cui si parla di un viaggio in Italia che il protagonista, un giovane ragazzo povero di nome Antonio, che ha diverse analogie con lo scrittore danese, fa visitando Roma, Napoli, Ercolano, Sorrento e diverse altre mete. Questo libro diede la notorietà internazionale ad Andersen, ancora prima delle sue celebri Fiabe.

A Roma in quel tempo viveva una colonia scandinava di artisti, tra cui figuravano personalità come lo scultore Thorwaldsen (1770-1844), il drammaturgo Ibsen (1828-1906), il poeta Atterhom  (1790-1855) ed altri che si riunivano al Caffè Greco, incontrandosi con scrittori e artisti stranieri, tra cui Goethe, Gogol, Byron e Liszt. Per Andersen, che era un viaggiatore instancabile, la sosta a Roma rappresentava il secondo di una serie di quasi trenta viaggi all'estero, in giro per l'Europa, e il richiamo verso il fascino esotico del sud e la bellezza dei suoi paesaggi e colori, nonché del suo patrimonio artistico.


   


Tante sono le amicizie con le personalità artistiche del tempo: i fratelli Grimm, il poeta Heine, Victor Hugo, Dumas padre, Dickens e i compositori Schumann, Mendelssohn e Liszt.

Chi volesse visitare la casa natale dello scrittore danese, dovrebbe recarsi in Danimarca, a Odense, nel cui centro storico si trova il museo Hans Christian Andersen: aperto nel 1908, costituisce uno dei musei più antichi dedicati ad uno scrittore. Poco prima di morire, il 4 agosto del 1876, fu acclamato in Inghilterra come il più grande scrittore vivente. Il suo funerale, celebrato nella cattedrale di Odense, fu imponente, per un uomo che era nato in una famiglia molto povera ed era diventato di casa in molte famiglie regnanti. Si racconta che prima di morire incaricò un musicista di comporre una musica per il suo funerale che doveva avere un ritmo lento, simile ai piccoli passi dei bambini, i suoi più fedeli lettori.


                                            
                                                        Constantin Hansen, ritratto di H. C. Andersen, 1836





  

                                    La casa natale Museo di H.C. Andersen, a Odense, Danimarca




lunedì 19 ottobre 2015

La casa di Oscar Niemeyer





"Non è l'angolo retto che mi attrae né la linea diritta, dura e inflessibile, creata dall'uomo. Quello che mi affascina è la curva libera e sensuale: la curva che trovo sulle montagne del mio Paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle onde dell'oceano, nelle nuvole del cielo e nel corpo della donna amata".

                                                                                                          Oscar Niemeyer


Tra le varie case in cui ha vissuto Oscar Niemeyer (Rio de Janeiro 1907 - Rio de Janeiro 2012),  descritte nel suo libro "Casas onde morei" (Case dove ho vissuto), la Casa das Canoas, a Rio de Janeiro, è senz'altro quella più famosa: l'architetto brasiliano la creò tra il 1951 e il 1953 per andarci a vivere con la sua famiglia. E' un capolavoro nelle sue linee curve e pulite, e nella semplicità ed eleganza delle forme che si avvolgono nello spazio.

In una recente intervista al "Paìs" dello scorso luglio, la sua grande ammiratrice, Zaha Hadid, anch'essa vincitrice del prestigioso premio Pritzker per l'architettura (prima donna a vincerlo nel 2004; Niemeyer lo aveva vinto nel 1986) parlava del "talento innato per la sensualità" di Niemeyer, dovuto alle linee morbide delle sue creazioni architettoniche costruite con il cemento armato che dànno l'impressione che i suoi progetti siano venuti fuori da un tratto continuo sul foglio che non conosce sforzi, né interruzioni, né correzioni.




Dei suoi disegni aveva dichiarato: "Preferisco la curva arrotondata. E' simile alla forma umana. Un giorno Le Corbusier mi ha detto: quando disegni hai le montagne di Rio davanti agli occhi".

Era nato il 15 dicembre 1907 a Rio de Janeiro, in una famiglia borghese di origini portoghesi, tedesche e arabe. Il cognome che finirà per adottare, Niemeyer, è quello della madre ed è tedesco. Durante gli anni della dittatura in Brasile (1961-1985), lui, comunista, fu costretto ad espatriare in Europa, a Parigi. Con la vincita del premio Pritzker nel 1986, poté ritornare finalmente nel suo paese. La sua fama internazionale è dovuta alla progettazione, tra gli innumerevoli lavori, del palazzo delle Nazioni Unite a New York, e alla creazione insieme all'urbanista Lucio Costa della città di Brasilia di cui progettò i principali edifici.




Quando muore, a 104 anni, dieci giorni prima di compiere i 105 anni,  la presidente del Brasile, Dilma Rousseff, fissa tre giorni di lutto nazionale e lamenta la scomparsa di uno dei "geni" del Brasile, uomo "rivoluzionario" che ha sempre sognato una società più egualitaria. I funerali si sono svolti nel palazzo presidenziale di Brasilia che lui stesso aveva progettato.
Lascia oltre 600 opere eseguite nell'arco di circa 70 anni di lavoro, di cui diverse sono in Europa. In Francia, dove aveva vissuto molti anni, quando era fuggito dalla dittatura nel suo paese, ha lasciato una ventina di edifici, tra cui la famosa sede del partito comunista a Parigi (1965).











CASA DAS CANOAS
Fondazione Niemeyer. Rio de Janeiro
Info: La Casa das Canoas è proprietà privata della famiglia Niemeyer ma è visitabile. Al momento ci sono dei lavori di manutenzione e la casa è chiusa. La riapertura è prevista per dicembre 2015.
Sito web:    http://www.niemeyer.org.br/fundacao/locais/casa-das-canoas


domenica 20 settembre 2015

Il palazzo di Federico Zuccari a Roma





"V'è raccolta, è vero?, come un'essenza in un vaso, tutta la sovrana dolcezza di Roma".
                                                                                     Gabriele D'Annunzio, "Il piacere"


Ogni volta che passo per via Gregoriana, non posso fare a meno di fermarmi davanti alla "Casa dei mostri" dove rimango ad  osservare per diversi minuti la facciata, con l'enorme bocca spalancata sulla strada, come se fosse la prima volta. Il portone e le finestre a forma di mascheroni grotteschi non mi lasciano mai indifferente. E' senz'altro la costruzione più bizzarra e originale che abbiamo a Roma. Si tratta del portone laterale di palazzo Zuccari, la cui facciata principale dà sul piazzale Trinità dei Monti, dove confluiscono via Sistina e via Gregoriana.




Federico Zuccari (1540-1609) decise di costruire questo elegante palazzetto per celebrare la sua fama di artista internazionale, ma anche il suo gusto estetico, il suo estro e la sua creatività. Nel 1590 comprò il lotto di terreno dove costruì la sua casa: la posizione era invidiabile, panoramica e con affaccio su Trinità dei Monti.
Lì sarebbe dovuta vivere la sua numerosa famiglia e in seguito sarebbe diventata una residenza per artisti italiani e stranieri. All'interno vi sono una serie di sale affrescate e decorate dallo stesso Zuccari e dai suoi aiuti.

Immortalato nel libro "Il piacere" di D'Annunzio, dove il protagonista, Andrea Sperelli, vi abita, nel corso dei secoli vi hanno soggiornato numerose personalità illustri, a cominciare dalla regina di Polonia, Maria Casimira, che affittò il palazzetto agli inizi del '700, facendovi numerosi lavori di ampliamento, agli artisti Winckelmann, Louis David, Reynolds, per citarne solo alcuni. Alla morte di Federico, nel 1609, il testamento prevedeva infatti che la dimora fosse destinata quale residenza per "poveri, giovani pittori oltramontani". Ma gli artisti vi soggiornarono a periodi alterni; dato che Federico Zuccari aveva lasciato numerosi debiti, le sue ultime volontà non furono eseguite e il palazzo ebbe numerosi affittuari illustri.

Attualmente vi ha sede la Biblioteca Hertziana, Istituto Max Planck per la storia dell'arte, che è nata grazie alla donazione dell'ultima proprietaria del palazzo, Henriette Hertz (1846-1913), una donna colta e ricca, che aveva aperto le porte del suo salotto a tutti gli studiosi, letterati, diplomatici e artisti di passaggio nella città eterna e che decise di fondare un'istituzione per gli studi storico artistici. La sua biblioteca personale, insieme ai 12.000 scatti della sua collezione di fotografie, hanno costituito il nucleo originario dell'attuale Biblioteca Hertziana che conta attualmente oltre 800.000 fotografie e 307.000 volumi sull'arte italiana dal Medioevo all'età moderna.


Per informazioni sulle visite guidate a palazzo Zuccari: